Family friendly. Sarà vero?
Ormai si trovano quasi ovunque, li chiamano locali family friendly: gli adulti possono mangiare e chiacchierare mentre i bambini saltano su gonfiabili, colorano o giocano in un luogo separato. In alcuni casi i bambini vengono affidati a delle animatrici in altri no. A volte il servizio o lo spazio sono fruibili gratuitamente altre volte è richiesto un piccolo compenso. Uno di questi posti quest’estate ci ha permesso di trascorrere una piacevole serata con amici che vediamo raramente. Eppure questi posti non mi convincono, almeno non troppo.
Ho l’impressione che ripropongano in modo più sofisticato e accattivante la vecchia separazione tra il mondo degli adulti e quello dei bambini. Ho anche il sospetto che siano l’ennesima trovata di un marketing che ormai da decenni guarda all’infanzia come categoria merceologica: lo stesso che ha esteso il baby food ben oltre gli omogeneizzati ( santi e benedetti in alcune occasioni).
I bambini, i miei compresi, in questi posti si divertono. A me però a volte sembrano segregati: confinati in un altrove. A pensarci bene la separazione tra luoghi degli adulti e luoghi dei bambini, non penso ovviamente alla scuola, è sempre esistita anche se in forme diverse da quelle attuali. In fin dei conti è quella separazione che traspare nella struggente descrizione in cui ne La strada di Swann viene implorato il bacio materno prima d’addormentarsi. Una separazione che si intravede anche tra le pagine di Mary Poppins. Questi luoghi per quanto colorati e a misura di bambino mi ricordano la separazione ottocentesca degli ambienti alto borghesi in cui i bambini erano affidati alle cure delle tate. Sarà per questo, pur con tutti i dovuti distinguo, che fatico a considerarli veramente “amici delle famiglie”.
Non credo che tutti i luoghi siano adatti ai bambini e ritengo che stia ai genitori scegliere quelli realisticamente più adatti ai propri figli. Io ad esempio amo i posti con grandi giardini in cui nella bella stagione i bambini possono alzarsi ed andare a giocare liberamente. Ancora di più amo le serate in casa, quelle in cui ognuno porta qualcosa e si condivide uno stesso spazio fisico: ci si siede a tavola insieme, si prova a dialogare anche con i bambini. Trovo normale che quando la discussione viri su quanto era bello il calcio ai tempi di Gigi Riva, sulla crisi della sinistra o sul supermercato più conveniente i bambini taglino la corda e corrano a giocare. Quel che mi piace però è la possibilità delle rispettive incursioni: dei grandi nella stanza in cui i bambini giocano e dei piccoli al tavolo dei grandi. Insomma preferisco i luoghi in cui la separazione non sia netta. Ovviamente è solo una mia opinione e so che prima o poi farò di nuovo ricorso a quelle che simpaticamente definisco “gabbie per bambini”.