Telecamere e nidi. Sicurezza e sospetto.
Ieri in Provincia di Milano, un maestro di scuola dell’infanzia è stato arrestato e posto ai domiciliari con l’accusa di maltrattamenti nei confronti dei suoi piccoli alunni. Le immagini registrate dalle telecamere nascoste dai carabinieri ( e diffuse dai media) mostrano l’uomo che strattona, schiaffeggia e colpisce con dei calci i bambini.
Immediato si è alzato il coro di coloro che chiedono l’installazione obbligatoria di telecamere a scopo di prevenire e contrastare i fenomeni di abuso e maltrattamento, come previsto dalla proposta di legge recentemente approvata dalla Camera.
Indubbiamente le immagini registrate con le telecamere nascoste hanno un valore importantissimo per il lavoro degli inquirenti. Le telecamere a circuito chiuso, previste dalla proposta di legge, avranno la stessa efficacia? Le immagini potranno essere visionate solo dalle forze dell’ordine e in seguito a denuncia. Chi sostiene la legge afferma che le telecamere permetteranno di ridurre i tempi in cui i bambini saranno sottoposti ad eventuali maltrattamenti e eserciteranno una funzione deterrente in chi sa di essere osservato. Gli scettici esprimono dubbi sul fatto che la loro presenza possa essere realmente un freno a comportamenti violenti da parte di chi sapendo di essere osservato potrebbe agire lontano dall’occhio elettronico.
Indipendentemente da chi abbia ragione, ciò che, come mamma, mi lascia perplessa è quello che vedo tra le righe della necessità di installare telecamere nei nidi, nelle scuole dell’infanzia e nelle strutture socio-assistenziali. Se per sentirmi sicura che mio figlio si trovi in un posto sicuro ho bisogno delle telecamere è perché in fin dei conti non lo ritengo tale. “Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio!” recita un vecchio detto. E io ho l’impressione che dietro a questa richiesta di telecamere ovunque si celi il ragionamento che sta alla base del proverbio.
Temo che la questione delle telecamere sia strettamente legata alla cultura del sospetto. L’urgenza di averle ovunque deriva dal senso di insicurezza e contemporaneamente lo alimenta. I casi di maltrattamento sono reali e non vanno sottovalutati. Però, ogni tanto, sarebbe bene rammentarci che “la cattiva notizia è una buona notizia” e che dunque a finire in pagina è ciò che si discosta dalla regola. Se è vero che chi “non fa del male non ha nulla da temere” (argomentazione molto in voga tra i pro-telecamere) è anche vero che la stragrande maggioranza delle educatrici e dei maestri e delle maestre si prende cura dei bambini con grande professionalità. Ma con il vedere potenziali pericoli ovunque, finiamo per scordarcene.
“Tesoro, la mamma torna, nel frattempo stai tranquillo che ci sono le telecamere e se la maestra ti tratta male la sgamiamo subito!”. So che scritto così è altamente irrealistico. Ma in fin dei conti, tutta la fiducia riposta nelle telecamere mi pare inversamente proporzionale a quella riposta nell’altro, in questo caso chi lavora nei nidi e nelle scuole d’infanzia; chi potrebbe maltrattare e chi potrebbe non accorgersene o far finta di niente.
Infine un dubbio, non è che per sentire che i nostri figli sono al sicuro inizieremo a invocare telecamere anche in palestra, negli spogliatoi, in oratorio, a casa di parenti e conoscenti? Perché non cucirle direttamente addosso ai bambini allora?