È faticoso. Si può dire?
Nessuno che conosco o a cui voglio bene è stato portato via dal Covid-19. Non rischio la pelle in ospedale. I 70 metri quadri con cortile interno (se non un lusso sicuramente non di serie in centro) ci permettono una convivenza h24 senza troppi intoppi. Internet va abbastanza per permetterci di stare connessi con la scuola, con gli amici e pure per cazzeggiare un po’ sui social. Eppure, alla terza settimana, inizia ad essere faticoso.
È faticoso! Si può dire? E, soprattutto, si può dire senza finire dritti dritti nelle file degli irresponsabili, degli ingrati e dei genitori incapaci-senzacervello? È faticoso! Sicuramente meno che per altri ma è faticoso! È faticoso! Si può dire senza essere gettati nel girone dei lagnosi-lamentosi?
Che ci si consideri un po’ eroi domestici, si faccia appello al “chi sta peggio” o si faccia massiccio ricorso all’ironia, credo inizi a essere faticoso un po’ per tutti o almeno per molti. Anche per chi, come me, si ritiene fortunato. E fluttua tra il sentirsi “chiuso in casa” e il sentirsi “protetto in casa” o magari (sono io) è giunto ad un “protetto chiuso in casa” di sintesi o compromesso.
“Non è una vacanza” mi ha detto ieri un’amica. Nulla di più vero, specie per noi che in vacanza mettiamo piede in casa o in albergo, giusto per lavarci e dormire. E non è una vacanza neppure per i bambini. A cui manca la scuola, mancano gli amici e le ore in compagnia. Comprese quelle al parco o ai giardini. Non sono tragedie ma neppure capricci.
Lascio agli esperti il dibattito su di chi sia il bisogno di un’ora d’aria e sul’opportunità o meno di concederla. E lascio agli esperti, psicologi e pedagogisti, non sempre concordi come è normale che sia, le considerazioni su ciò che questa esperienza comporterà per i nostri figli.
Io mi limito ad osservare il trio. Non l’infanzia, non l’adolescenza: il trio, un campione assolutamente non significativo. Al massimo mi spingo a leggere le esperienze di persone che conosco. E scorgo affinità e differenze.
Ma prima di parlarvi del trio, credo sia meglio dedicare due righe a parlare di me. Per quanto non manchino, anzi per fortuna abbondino, momenti di sana normalità, inizio a fare fatica a stare h24 con i miei figli. A volte, mi sento come quando erano piccolissimi e li avevo sempre addosso. Un’esperienza meravigliosa ma pur sempre faticosa. La ripeterei senza indugio alcuno, ringrazio la vita per avermela concessa ma non mi sento di descriverla come “priva di difficoltà”( esempio basic: l’assenza di sonno pesa anche quando sei la persona più felice del mondo e quel battufolo urlante lo hai atteso come l’arcobaleno dopo la tempesta).
E quindi, perdonatemi, non mi sento una traditrice di alcunchè se, ogni tanto, spedisco i figli in cortile ( rigorosamente soli e separati da qualsiasi altro essere umano) per smorzare la tensione. Solitamente questo succede quando due su tre si inseguono in modalità Willi il Coyote- Beep Beep oppure quando è in corso il campionato di salto da una sedia all’altra senza calzini antiscivolo. E, a volte, ammetto pure questo, ciò coincide con i 15 minuti in cui potrebbe avvenire la mia metamorfosi da signorina Rottermeier a Crudelia Demon o Dolores Umbridge. E questo, nonostante le preoccupazioni e la consapevolezza della gravità della situazione.
Non ho mai pensato che questa esperienza potesse essere traumatizzante per i miei figli ( e riscrivo: miei) ma non nascondo che sia faticosa. Il selvaggio, ogni mattina, conta, scorrendoli con il dito, i giorni che mancano al presunto (secondo lui) ritorno a scuola. Per quanto sia capace di stupirsi delle piccole cose, aumentano i momenti di tristezza e gli scatti di rabbia o quel che è. Ci sono momenti in cui sembra una trottola stregata e serve un livello 10+ di pazienza per non intimargli ogni due per tre di calmarsi un po’. La media sembra aver esaurito l’entusiasmo per gli incontri virtuali e spesso non ne può più di avere suo fratello che gli saltella intorno. La grande mugugna e descrive, come fosse un tour per l’Europa, il percorso casa-piscina in compagnia della sua amica. Le manca quella “libertà” appena conquistata.
Non me la sento di relegare a banalità queste loro fatiche. E solo accogliendole, senza ingigantirle o negarle, che provo a comprenderle. E di conseguenza aggiusto il tiro, accetto alcuni cambiamenti delle routine, provo a capire cosa sia possibile concedere e cosa no. Onestamente non credo che liquidare tutto con “non hai capito quanto sia grave la situazione fuori!” sia una strategia efficace. Non credo che negare le difficoltà o trasformarle in colpe serva a nessuno: non fa star meglio chi le sperimenta e non cambia di una virgola la situazione esterna. Preferisco accettare “la fatica” come parte del pacchetto, dei giochi che abbiamo scelto di giocare e di quelli in cui ci siamo trovati catapultati nostro malgrado. E questo conscia che si stiano giocando, intorno a noi, partite molto più serie e decisive di quella della nostra clausura.
Postilla: chi ha scritto questo post continua a cercare “cose belle” e non appena i pargoli torneranno a scuola probabilmente si concederà una mezza giornata alle terme figli e maritozzo free.