Il mio amico Gi
Il primo whatsapp di stamattina me lo ha mandato il mio amico Gi. Lo ha spedito a notte fonda, quando noi già dormivamo da un pezzo. Gi non si chiama Gi ma il messaggio me lo ha mandato lo stesso: un filmato di due minuti in cui racconta ai “suoi bambini” la passione di Gesù.
Io e Gi ci siamo conosciuti tanti anni fa. A me sembra un’altra vita a lui non so. Siamo diventati amici subito, d’altronde non capita tutti i giorni di condividere un temporale memorabile. E in questi 23 anni non ci siamo mai persi di vista, nonostante le distanze. Ieri discutevamo di esami e serate da organizzare, adesso di figli (i miei) e di genitori che diventano anziani. Lui non ha perso il suo ottimismo e la sua carica, io raramente mi ricordo dove ho depositato l’uno e l’altra.
È da un po’ che non ci vediamo io e Gi. Ma l’altro giorno ci siamo sentiti. Gi abita in una delle zone più colpite dal Coronavirus e quasi ogni giorno va a benedire le salme, quelle di chi non può avere un funerale. Ne abbiamo parlato per un po’. I suoi racconti asciutti sono fotografici. Gi ha il potere magico di farmi stare zitta ad ascoltare. Ed è anche per questo che gli voglio un gran bene.
Ho immaginato Gi intento a consolare qualcuno a distanza di sicurezza. L’ho visto offrire una parola di speranza, accogliere un pianto, regalare una carezza con mano guantata. E mi ha fatto una gran tenerezza. Perchè le cose che dona non sono sue, le ha ricevute per donarle. E questo gioco gli è sempre riuscito bene. Anche prima di cambiare mestiere.
Gi però continua a fare anche le cose che faceva prima dell’epidemia. Qualcuna deve farla diversamente. Gi avrebbe potuto far l’attore ma, se non ci fosse stata quest’emergenza, dubito che si sarebbe piazzato davanti a una telecamera per spiegare il senso del Venerdì Santo ai lupetti e ai bambini del catechismo. Fatto sta che lo ha fatto e io ho avuto il video in anteprima.
L’ho guardato più volte. Le parole di Gi erano piene di speranza. Quella di chi sa come va a finire la storia, certo, ma anche quella di chi a quella storia ci crede. Davvero. Davvero, davvero. E non smette di raccontarla e soprattutto di viverla. E di piazzarla sotto al naso di chi, come me, ha certezze meno salde delle sue. Quelli come Gi ti spronano, senza troppe prediche, a prendere in mano il Vangelo e a “connetterti” anche quando ti sembra inutile. A me, almeno, fanno quest’effetto.
E allora, oggi, che è Giovedì Santo, penso a Gi. Penso che oggi è un po’ anche il suo giorno. Il giorno dell’ultima cena, dell’eucarestia, di quella fede che Gi vive e trasmette con il suo servizio. E che sa far essere contagiosa come la sua risata. Anche con un video spedito su whatsapp. E di Gi ne sono certa ce ne sono tanti al mondo.
Gi però resta il mio amico Gi. Anche quando dopo aver letto questo post mi sgriderà.
bellissime le tue riflessioni su Gi. grazie per averle comunicate
Grazie a te per avermi dedicato un po’ del tuo tempo.