Ritardo prima di Natale
Era un ritardo. E lui, l’ingegnere, non era mai andato d’accordo con i ritardi. Non capiva lei e la sua linea attendista. Lui era preoccupato. Lei quasi indifferente. Non ne avrebbe parlato se lui non avesse mostrato tanta apprensione. Lei cercava di distrarlo. E lui tornava sull’argomento. Tormentato.
Tre giorni. Quattro giorni. Cinque giorni. Il ritardo era evidente. Superava i tempi previsti e prevedibili. Stava andando oltre il fisiologico. E lei, quasi non se ne curava.
Non capiva, lui, come lei non potesse pensare alle conseguenze di ciò che stava accadendo. Cinque giorni di ritardo nella consegna erano semplicemente troppi. Anche nell’anno della pandemia, con altre mille mila eterni fuorisede in attesa del pacco da giù.
Sì, perché salami, formaggi e dolcetti avrebbero potuto risentire della permanenza forzata nel magazzino del corriere. Natale era alle porte è un caciocavallo silano, avrebbe potuto trascorrere quel giorno di festa nel buio di uno scatolone.
Nel buio del pacco da giù. In compagnia di filetti, salami, melanzane sott’olio e biscotti fatti in casa. Ma pur sempre lontano da lui. Il giorno di Natale. Uno dei pochi passati al Nord in vent’anni.
A nulla erano valse le rassicurazioni di lei. In frigo c’erano ancora due provole, tre cartocci di olive, un salame, un filetto e un pecorino di Monte Poro. Tutta roba che avevano stipato in macchina a fine estate. Di ritorno dalla sua (di lui) Calabria.
Erano finite solo le mandorle. Le aveva finite lei, il sabato precedente. E a lui non era toccato nemmeno un pezzetto di croccante, neppure una mandorla caramellata. “ A te li preparo quando arriva il pacco da giù” aveva sentenziato, seria come un elfo di Babbo Natale.
Vedendolo preoccupato aveva cercato di convincerlo che avrebbero potuto comprare le mandorle nel vicino supermercato. In fin dei conti, quelle del pacco da giù erano californiane e venivano dalla stessa catena di distribuzione. Ma no, non si era convinto.
Il pacco da giù riusciva persino a superare la cortina della sua ingegneristica razionalità. Il tracciamento del pacco era diventato una costante. Probabilmente aveva visitato la pagina del corriere più di quanto avesse consultato il fascicolo sanitario dopo il tampone per il Covid.
Un’attesa snervante. Ci pensò lei a porre fine a questo ripetuto refresh. Un “arrivato”, corredato da foto, alle 17.18 dell’antivigilia. Merito dei figli che avevano aperto al corriere quando lei non c’era. E dei vicini che generosamente avevano firmato la bolla di consegna. Ed evitato il peggio: un Natale senza pacco da giù.
Vi starete chiedendo se in quel pacco ci fosse anche qualcosa di indispensabile per imbandire la tavola festiva. La risposta è no. Non per le pietanze, almeno. Ma si sa, il pacco da giù ha a che fare più con il cuore che con il palato.
Mi hai troppo divertita con questo post! e oggi ne avevo proprio bisogno! Ma alla fine cosa c’era in sto pacco?????
Salami, filetti, pecorino, torroncini, dolcivi vari, arance, limoni e un pompelmo.
e buttalo via… mamma mia quanta roba buona!!!1
Dimenticavo: divertire qualcuno con le parole è un grande onore! Grazie ☺️
Da milanese, il pacco da giù non l’ho mai ricevuto e anche se adesso in Australia ricevo pacchi dall’Italia, non contengono mai i cibi che vorrei
Neanch’io in 20 anni a Bologna ho mai ricevuto il pacco dall’isola. Non fatico a credere che qualche prelibatezza lombarda ti farebbe piacere (era tuo il post sui cibi strani in Australia?)
Mi piacerebbe eccome ma purtroppo non passano la dogana qui! Sì, avevo scritto un post del genere
Che racconto carino! Scritto molto bene. Comprendo che il pacco avesse tanto valore per riempire un po’ la mancanza degli affetti.
Grazie ☺️
Ahah! Davvero divertente! Anzi, no, sulle radici non si scherza: sono cose serie! Buon anno!
Che storia carina ! Sono tradizioni e non si possono spezzare !