Mammite
Oggi vorrei raccontarvi un episodio di mammite. Si tratta di un racconto fedele. I fatti sono successi un lunedì, non troppo lontano nel tempo. E se alla fine vi domanderete quale dei due protagonisti è afflitto da mammite, sappiate che non vi darò mai una risposta.
Un lunedì di straordinaria mammite
Non ne voleva sapere di alzarsi. Ha abbracciato il suo maialino di pezza e si è coperto la testa con il piumone. Ha allungato un braccio, con la mano ancora cicciotta, ha agguantato il cuscino e portato anche lui sotto il piumone. Insieme al maialino.
Si è alzato poco convinto. Ha ciabattato fino alla cucina. Ha indugiato davanti al latte e cacao. Solitamente lo beveva tutto d’un fiato. Quella mattina, invece, lo scrutava, quasi potesse rivelargli qualche indizio indispensabile per la giornata.
All’ennesimo “muoviti!” ha bevuto il latte e smangiucchiato un pezzo di pandoro. A casa sua ci fanno colazione fino a Pasqua col pandoro.
Si è tuffato sul letto. Stavolta, sopra, non sotto, il piumone. Ha afferrato la coperta piegata ai piedi del letto e ci si è infilato sotto. Col maialino. Visto il disordine che regnava in casa in quei giorni, lei avrebbe potuto scambiarlo per un cumulo di vestiti abbandonati al loro destino dalle preadolescenti.
Sapeva, lei, che c’era un solo modo per tirarlo fuori di lì. E ha giocato le carte che riteneva vincenti: due coccole e la promessa di un gioco insieme alla sera. “Quando torni sarò qui, oggi lavoro da casa” gli ha detto per rassicurarlo.
Si è lavato e vestito svogliatamente. La poca neve caduta si era già sciolta. E lui l’aveva aspettata tanto la neve. Come l’aspettano i bambini. E l’aveva presa sul personale. Un affronto del meteo, uno sfregio alla sua voglia di fare a palle di neve.
Comunque, alla fine è uscito di casa, zainetto sulle spalle, mascherina in faccia e berretto di lana. Lei, mammescamente, iniziava a insospettirsi. Si domandava se stesse poco bene. Ma la fronte era fresca. Se lo avesse detto all’ingegnere l’avrebbe presa in giro per quella sua ansia da febbre. L’aveva sempre avuta. Il Covid non l’aveva acuita ma 13 anni di esperienza non l’avevano scalfita di un millimetro.
Alla fermata dello scuolabus le si è avvinghiato addosso. A memoria, non lo aveva mai fatto. Sicuramente non alla primaria e neppure alla scuola dell’infanzia. Sarebbe stata pronta a giurare che non lo avesse fatto neppure al nido. Lì si era limitato a fingere di non vederla quando aveva smesso di allattarlo. Aveva 18 mesi e qualche giorno.
Poi l’imprevisto. L’aveva trascinata fino al predellino. “Che succede?” aveva chiesto l’educatrice, un po’ stranita visto che era sempre pimpante e in prima fila. “Ha ancora sonno” aveva risposto lei, giusto per dire qualcosa. Intanto quel “e se gli stesse venendo la febbre” le girava nel cervello come il simbolo del dollaro negli occhi di zio Paperone.
“Ha gli occhi un po’ lucidi” disse qualcuno. “Sembra un po’ pallido” sentenziò qualcun altro. Stavano lì davanti alla portiera. L’educatrice con il termoscanner in mano. Lui fermo, sotto il peso dello zaino del lunedì. Lei con il criceto del cervello che ripeteva “febbre, febbre, febbre”.
Avrebbe potuto provare a convincerlo. Dire che in caso sarebbe andata a prenderlo. Ma c’era il Covid in agguato. E in più, lei aveva una riunione su zoom, o non si ricordava più che piattaforma. Non avrebbe potuto saltarla e neppure abbandonarla metà.
“Facciamo così, per oggi stai a casa”. Il suono uscì da sotto la mascherina senza che lei si fosse accorta di aver aperto bocca. E così tornarono a casa, mano nella mano. “Avete perso l’autobus?” chiese l’ingegnere, mentre slegava la bici per andare in ufficio. “Dice di non sentirsi troppo bene” rispose lei. “Provagli la temperatura” rispose lui.
Arrivati a casa, lui si è messo il pigiama e si è infilato sotto il piumone. Quello del lettone. Lei ha recuperato il termometro a mercurio. L’ingegnere ne aveva fatto una scorta prima che li togliessero dal commercio e quello era l’ultimo superstite.
La linea rossa si era fermata a 36.2. Non aveva la febbre ma neppure intenzione di mollare la presa su maialino e cuscino. Col viso pallido e gli occhi lucidi (ormai anche lei si era convinta li avesse) spiegò di voler dormire. Salvo poi, comparire in cucina, proprio quando lei si era messa al pc e mancava una manciata di minuti alla riunione.
“Mi sa che tu stamattina avevi un po’ di mammite” le disse con tono, poco credibile a dirla tutta, di rimprovero. Lui sgranò gli occhi, senza dire nulla. Avrebbe potuto darla a bere a Malefica e Crudelia, in un solo colpo, con quegli occhioni. Glielo aveva detto anche la maestra della scuola dell’infanzia diversi anni prima. “ Insgridabile, suo figlio è insgridabile” aveva detto.
Potrei giurare di averla vista sorridere (lei, che poi sarei io) non appena lui è uscito dalla stanza. In fin dei conti, quella mammite acuta era una goccia d’infanzia in un mare di preadolescenza. E presto l’infanzia, che era già fanciullezza, avrebbe lasciato la loro casa.
Avvisi
L’episodio di mammite è stato solo un episodio. Nulla di cronico, state tranquilli. Il protagonista di questa storia va regolarmente a scuola e gode di un’ autonomia più che consona alla sua età. In realtà, non sa allacciarsi le scarpe, ma ne riparleremo.
Tenerissima testimonianza… Bello leggerti, grazie. Poi dovrai anche spiegarmi come si sopravvive senza mammite, tipo sindrome nido vuot e simili… ?
…boh…io per ora sopravvivo alla preadolescenza e confesso di spupazzarmi il piccoletto che, in barba alla mia strenua contrarietà agli stereotipi di genere, è venuto cabinista e coccolone ?
Bellissimo scorcio di vita mammesca. Da bambino quasi grande ci stanno momenti così e da mamma sono un piccolo amarcord a cui aggrapparsi
…già, momenti di tenerezza da tenersi stretti stretti