Ministero per la disabilità? Un contentino. (A tu per tu con mamma Flora)
È trascorso poco meno di un mese dall’insediamento del governo Draghi. E con il nuovo inquilino di Palazzo Chigi è tornato anche il Ministero per la disabilità, istituito dal primo esecutivo guidato da Giuseppe Conte e cassato nel secondo. Fin dalle sue origini, tale ministero con relativo ministro senza portafoglio, ha diviso associazioni e famiglie. Da un lato si sono schierati coloro che hanno visto in questo dicastero un segno di attenzione e civiltà, dall’altro quelli che ritengono si tratti di un qualcosa di cui si può e si deve fare a meno.
Tra questi ultimi c’è anche la mia amica Flora Campolo, mamma di Giovanni, adolescente con sindrome di Down. Un giudizio netto, tranciante il suo. Flora sembra non avere dubbi: questo ministero non ha nulla di inclusivo è appare più come una pacca sulle spalle, pietista e assistenzialista. Un contentino, insomma.
Il perché lo trovate nelle righe di questo lungo e articolato dialogo.
Il governo Draghi ha istituito nuovamente il ministero per le disabilità. Cosa ne pensi?
Ad essere sincera, sono sempre stata abbastanza scettica riguardo ad un ministero per le Disabilità. L’impressione è che si sottolinei maggiormente che la Disabilità vada trattata come “un mondo a parte” e non come “parte del mondo”. Un Ministero “esclusivo” sottolinea la netta differenza e separazione tra categorie, i disabili e non, dimenticandosi di alcune considerazioni semplici ed evidenti.
Quali?
La disabilità è essenzialmente una condizione di svantaggio in cui un individuo si trova a causa dell’interazione con un ambiente, sociale o architettonico, sfavorevole. “I disabili” non sono entità astratte e teoriche, sono persone: viene prima la loro umanità/identità personale e solo dopo la loro condizione. La disabilità è una condizione imprevedibile, trasversale ed estremamente democratica. L’idea di un Ministero “dedicato”, quindi, è completamente opposta al desiderio di inclusione che sentiamo e ricerchiamo per le persone disabili e le loro famiglie, portatrici indirette di disabilità, ma non meno degne di attenzioni! Inoltre sembra un “contentino”, la solita triste pacca sulla spalla velata di pietà e compassione che poco ha a che fare con una reale scelta di inclusione. Ha il sapore antico e squallido di assistenzialismo.
Ne hai parlato con tuo figlio? Inizia a farsi un’idea?
Con i miei figli parliamo apertamente di disabilità da sempre, con termini adeguati all’età. In realtà, più che parlare, cerchiamo concretamente di vivere aperti alle abilità e alle disabilità. Ognuno ha in sé questo e quello ed esterna il proprio modo di essere in base alle situazioni contingenti. Solo accogliendoci ed aiutandoci gli uni gli altri potremo vivere tutti meglio. Insegniamo che al mondo c’è posto per tutti e, di norma, le accortezze e le strategie che funzionano per chi è maggiormente in difficoltà, funzionano per tutti gli altri. Non credo che i miei ragazzi abbiano già un’opinione riguardo all’istituzione di un Ministero ad hoc, credo però che sia evidente anche a loro che le istituzioni abbiano il compito di garantire pari diritti, pari dignità e pari opportunità a tutti indistintamente. L’articolo 3 della nostra meravigliosa Costituzione assieme alla ricerca e scoperta dei ”valori cristiani” vissuti concretamente è sufficiente a “sentire” questa esigenza come fondamentale.
Compassione, pietismo, non inclusione
Iacopo Melio su Repubblica ha parlato di un ministero che esprime “rassicurante compassione mista a pietismo”. Condividi?
Condivido l’opinione di Jacopo Melio. Davvero sembra che ci si ricordi delle persone disabili solo per propaganda elettorale. E davvero sembra che in questo caso ci si sia ricordati di fare un atto demagogico di pietismo e compassione più che una reale azione volta all’inclusione e alla soluzione di problematiche sociali. La demagogia non è politica lungimirante, ma unicamente ricerca di consenso.
Quali rischi vedi in tutto ciò?
Il rischio di queste scelte politiche è di far passare l’idea che le persone disabili abbiano meno diritto ad una vita piena e a pari opportunità a causa della loro condizione e che qualsiasi azione politica nei loro confronti sia una “buona azione” legata al sentimentalismo e non una reale visione inclusiva. Persone di serie B. Pertanto trasparenti e, se danno “fastidio”, da tenere buone con una caramella.
Sempre Melio nella sua lettera a Repubblica parla di “antica discriminazione che continua a evidenziare differenze anzichè puntare a una parità sostanziale”. Sei d’accordo?
Jacopo dice bene: l’istituzione del ministero sottolinea maggiormente una netta separazione tra due mondi che, con questa scelta, ci vogliono far percepire tra loro estranei. Non è la soluzione e non è la prospettiva giusta per poter pensare ad una società inclusiva.
Servirebbe una maggiore consapevolezza da parte di tutti i ministeri?
Servono competenze trasversali: ogni ministero deve poter effettuare scelte che tengano conto delle esigenze delle persone disabili. E poi, parliamoci chiaro, un ministero per la disabilità senza portafoglio è una doppia presa in giro!
Priorità
Quali sono a tuo avviso i ministeri che avrebbero maggiore necessità di ragionare in un’ottica inclusiva?
Tutti i ministeri dovrebbero essere inclusivi, ma maggiormente Lavoro, Sanità, Istruzione. Esiste il ministero Pari Opportunità che però viene visto solo nell’ottica di garantire pari opportunità di genere… purtroppo in Italia si tende sempre a ragionare per compartimenti stagni, a dividere le persone e classificarle con estrema precisione ignorando l’universalità dei diritti delle persone al di là della categoria in cui le si colloca.
Quali sono le tre priorità che devono essere affrontate?
Le priorità maggiori al momento sono quelle inerenti alla situazione sanitaria, quindi vaccini contro il Covid per le persone fragili e le loro famiglie. Questa priorità è stata posta all’attenzione del Governo da diverse associazioni e, ad oggi, solo in Toscana è completamente messa in atto. In Abruzzo abbiamo potuto segnalare la manifestazione di interesse al vaccino anche per il caregiver (come se in famiglia ci fosse una sola persona che faccia questo per “mestiere”) della persona disabile ma ancora non abbiamo alcuna certezza per quanto riguarda modi e tempi di somministrazione del vaccino.
Bisognerà tenere fissa l’attenzione anche sull’ inclusione scolastica: il governo passato ha approvato alcune norme molto penalizzanti (nuovo GLO, nuovo PEI, possibilità di esonero da alcune materie) e pericolose per l’inclusione scolastica, sdoganando di fatto, la possibilità di togliere dalla classe gli alunni con disabilità, tornando indietro di molti decenni, a quando le “classi speciali” erano la realtà.
Altri temi prioritari sono l’inclusione lavorativa e una pianificazione attenta del “dopo di noi”
Puoi aggiungerne altre due…
Altre priorità sinceramente non me ne vengono in mente… sarebbe già una buona cosa che si lavorasse seriamente su quelle che ho citato prima. Forse si dovrebbe lavorare su politiche familiari più “attente” quando in famiglia c’è la presenza di soggetti disabili.
Dad
Cambiamo argomento e parliamo di dad. Come avete vissuto quest’esperienza?
La DAD… Discorso lungo! Faccio alcune premesse. È fuor di dubbio che la scuola in presenza è la condizione migliore. È fuor di dubbio che la scuola non sia solo didattica ma anche, e soprattutto, relazione. È fuor di dubbio che in alcuni casi non c’è scelta e la DAD è l’unica soluzione. Bene!
La DAD è faticosa psicologicamente e anche fisicamente. Richiede maggior attenzione e consente minor scambio relazionale. In alcuni, magari pochi, casi la DAD ha dato maggiori possibilità di esprimersi: alcuni ragazzi più timidi dietro uno schermo e col tempo dedicato esclusivamente a loro sono riusciti a emergere dall’anonimato e sbocciare. A casa nostra, tutto sommato, i ragazzi stanno affrontando bene la situazione anche se, ripeto, la fatica è superiore.
Da quel che dici deduco che non vi siete avvalsi della possibilità di frequentare la scuola in presenza…
Abbiamo scelto di non mandarlo a scuola in presenza per molteplici motivi. Primo per evitare situazioni di rischio contagio, per noi di importanza fondamentale. Secondo perché, seguendo lo stesso programma della classe, non avrebbe avuto senso farlo andare in presenza da solo in classe con l’insegnante di sostegno per seguire la lezione. Lo so che i vari decreti prevedono la presenza in classe di un gruppo ristretto di ragazzi per favorire l’inclusione, ma la nostra scuola non ha contemplato questa eventualità e, sinceramente, noi non ci siamo sentiti di mettere in difficoltà nessuno facendo questa richiesta e facendo correre rischi inopportuni.
È chiaro che Giovanni ha una risorsa (me) completamente dedicata durante il tempo scuola, ma finché ce la facciamo va bene così. È una scelta che riguarda tutta la famiglia: ci diamo tutti una mano nella gestione della casa e, per fortuna, Francesco è totalmente autonomo. Ognuno fa alcune piccole rinunce…
Durante la scorsa primavera ci siamo ripetuti, fino allo sfinimento, che la pandemia ci avrebbe potuto o dovuto insegnare qualcosa…
Purtroppo con la pandemia abbiamo imparato, anzi ci è stato ricordato con prepotente durezza, che delle persone disabili ci si dimentica in fretta, sicuramente perché presi dalle proprie situazioni di emergenza. È come se la pandemia avesse cancellato in un attimo alcune relazioni. È ovvio che la pandemia non ha cancellato nulla, semplicemente quelle non erano relazioni, ma altro. Non è successo solo a noi, è una costante delle varie famiglie in cui è presente una persona con disabilità! Questo ad indicare che la reale inclusione sociale non esiste, non è mai esistita.
Perché?
Il concetto che è passato fino ad ora è che dare attenzioni o, peggio, opportunità ad una persona disabile, bambino, ragazzo o adulto che sia, è un atto di gentilezza e di buon cuore. Quindi legato esclusivamente ad una presupposta superiorità e ad una “volontarietà” di chi “concede”. Non è un “atto dovuto” e “tra pari”, sottolineando, per tornare al concetto espresso bene da Jacopo Melio, che non esiste di fatto una parità di dignità, di opportunità, di “valore”: esistono, nel sentire comune, vite di serie A e di serie B. Potendo osservare adolescenti in DAD, questo risulta ancora più evidente, nonostante gli sforzi educativi di insegnanti illuminati e lungimiranti. C’è davvero tanto da lavorare in questo senso! E solo la scuola può darci una mano!
Torniamo alla dad, cosa ne pensa Giovanni?
Giovanni… preferisce la scuola in presenza nonostante le mascherine, nonostante il distanziamento fisico, nonostante la “distanza relazionale” che, tra adolescenti, è comunque maggiore. A lui piace stare in mezzo ai suoi compagni, e questo gli manca molto!
Articolo Assolutamente illuminante e prezioso. Sono educatrice e pedagogista, avendo studiato in magistrale proprio i temi della disabilità e della marginalità e Concordo sul fatto che un ministero per la disabilità per di più senza portafoglio è ridicolo. Sarebbe semmai da sostituire con un ministero per l’inclusione e con dei fondi! Dobbiamo purtroppo fare veramente tanti passi avanti ancora nella mentalità comune per arrivare a delle conclusioni utili..
Già…ministero o no servono davvero dei passi avanti, a partire dai fondi.
Francesca, hai affrontato con questa intervista un tema delicato e importante. Come non dare ragione a Flora sul fatto che è un’assurdità che il Ministero della disabilità sia senza portafoglio. Non sono d’accordo però su una cosa, e cioè sul fatto che istituire un ministero dedicato sia un atto di inutile pietismo. Per me è affrontare una situazione (avrebbero però dovuto dargli il portafoglio, per affronarla veramente).
Sul discorso finale, riporto qui le tue parole: “Il concetto che è passato fino ad ora è che dare attenzioni o, peggio, opportunità ad una persona disabile, bambino, ragazzo o adulto che sia, è un atto di gentilezza e di buon cuore. Quindi legato esclusivamente ad una presupposta superiorità e ad una “volontarietà” di chi “concede”.
Secondo me, non si tratta di superiorità, ma certo di gentilezza e buon cuore. Parliamoci chiaro, dipende certamente da che tipo di disabilità possa essere, ma a volte è molte diffcile interagire per i bambini con compagni con gravi difficoltà, e quindi sì, proprio empatia e generosità verso questi bambini più sfortunati bisogna insegnare ai nostri figli.
Un caro saluto a Flora e a te, che hai portato qui la sua testimonianza di madre.
Grazie a te per essere passata e aver espresso la tua opinione. Credo che il confronto quando basato sull’ascolto reciproco sia sempre costruttivo. Personalmente credo che l’empatia sia importante così come lo sia insegnare ai nostri figli a provare ad interagire con tutti. Ciò non toglie, a mio parere, che inclusione scolastica, accessibilità, inclusione lavorativa ineriscano la sfera dei diritti personali e civili. E i diritti si riconoscono e garantiscono non si “concedono”. Ad esempio: io mi inalbero quando sento parlare di concessione di diritto di voto alle donne, come se fosse stato un atto di magnanimità; Mi pare un’espressione che rimanda ad una logica da Statuto Albertino e non da Costituzione. Credo che sia tanto da lavorare su tutti i piani: legislativo, culturale, linguistico.