Cecità: a tu per tu con Rosy, “orba per finta”
Rosy ha due magnifici cuccioli e un figlio tra le stelle. Rosy ha le mani d’oro in cucina e un debole per i vestiti colorati. Rosy ha un bastone bianco, una laurea in scienze della comunicazione e tanti fiori in giardino. Rosy non è un’influencer e neppure una diva del web. A me piacerebbe lo fosse, almeno un po’, perché Rosy ha una grande passione per la scrittura e la usa per parlare di disabilità sui social.
In questo dialogo mi porta, come dice lei, nel suo mondo, un mondo pieno di colori, a dispetto della sua cecità. Dalla sua voce, così come da ogni suo scritto, traspare un mondo pieno di emozioni, comunicate con la cura di chi ama le parole e non ne lascia neppure una al caso. Attraverso le parole, siano esse scritte o pronunciate con il suo accento napoletano condito con un pizzico di toscano, Rosy prende per mano chi la legge o l’ascolta e lo fa entrare in un mondo per molti versi sconosciuto, quello che lei, con una massiccia dose d’ironia chiama il mondo di “un’orba per finta”.
Come nascono i tuoi scritti? Sono cieca dalla nascita e ho la passione della scrittura fin da quando ero piccola. Nel tempo, soprattutto quando la vita mi ha messo davanti a prove durissime, mi sono accorta che la scrittura mi aiutava. Posso dire con certezza che, in quei momenti, la scrittura mi salvava. É questo il motivo per cui ho scelto di raccontare la diversità attraverso le parole. Provare a trasformare in parole le mie emozioni mi piace e soprattutto mi fa sentire viva. Con la scrittura provo ad arrivare al cuore e all’anima della gente.
Cecità, un mondo sconosciuto
Molti dei tuoi post sui social sono dedicati alla disabilità. Cos’è per te? Io non cerco di definire la disabilità, provo piuttosto a raccontarla, dando il mio piccolissimo contributo. Credo che la disabilità sia un mondo pieno di sfumature. Sento molto forte la necessità di raccontarla perchè, dopo aver superato lo scoglio dell’accettazione della mia disabilità sono riuscita a farla diventare una compagna di vita, una risorsa piuttosto che un limite. Ed è a quel punto che è subentrato il desiderio di educare la società ad un mondo abbastanza sconosciuto.
In che modo?I miei scritti e i miei video testimoniano le mie abilità. Mi piace, con umiltà, provare a far entrare il maggior numero di persone possibile nel mio mondo, apparentemente buio. Attraverso le parole spero di far arrivare energia e luce. Questo non significa che sia felice di essere una persona disabile perchè mi piacerebbe ammirare un tramonto o il mio volto. Mi piacerebbe ammirare le meraviglie della natura però, durante il mio percorso di vita, ho potuto sperimentare che si può vivere davvero con coraggio e dignità con tutti gli altri sensi in ascolto. Ogni giorno mi alleno a essere una disabile e, come dico sempre, un’orba per finta che, se serve, scavalca il cancello del giardino perchè ha dimenticato le chiavi.
Parli di te come di una persona disabile. Cosa pensi del dibattito sull’uso delle espressioni disabile e diversamente abile? Devo essere molto sincera: credo che i disabili, come tutti del resto, abbiano risorse e limiti. Sono certa che questo valga anche per i disabili gravissimi. Sono una persona a cui piace chiamare le cose con il proprio nome. Dico sempre che io sono cieca, non dico “diversamente vedente” o “videolesa”. Mi piace chiamare le cose con il proprio nome: i sordi sono sordi e i ciechi sono ciechi. Quando utilizzo l’ironia, per raccontare qualche aneddoto delle mie giornate, mi piace utilizzare il termine “orba per finta”.
Visto che hai introdotto il tema. Quanto conta per te l’ironia? Come dicevo, uso l’ironia per raccontare episodi delle mie giornate che potrebbero apparire impossibili. Immagino che la gente si chieda come faccia una più cieca di una talpa a salire sulla scala per lavare i vetri o a trovare il punto preciso in cui si trova qualcosa e mi piace ironizzare sulla mia condizione. Posso dire che l’autoironia mi salva ogni giorno.
Sguardi e parole
Scrivi spesso che una delle cose che più ti colpisce in negativo è leggere la pena nello sguardo della gente…Io no posso leggere la pena negli occhi della gente perchè se potessi farlo potei prendere la patente e guidare la macchina. A parte gli scherzi, posso testimoniare con consapevolezza che un disabile si accorge della pena che innesca. Io sono non vedente ma mi accorgo quando vengo osservata e mi accorgo del tipo di sguardo. Me ne accorgo dal tono e dal timbro della voce quando mi rivolgono delle domande o provano ad aiutarmi. Colgo abbastanza spesso un sentimento compassionevole da parte dei miei interlocutori e questo lo notavo fin da piccola.
In che modo te ne sei resa conto? Io sono campana; sono nata in un paese della provincia di Caserta ma dall’età di cinque anni ho vissuto a Napoli, in un istituto per ciechi a cui devo tanto della mia indipendenza e autonomia. Quando ho iniziato le superiori fuori dall’istituto mi sono resa conto che nel mondo esterno venivo trattata diversamente rispetto all’istituto in cui vivevamo tutti una condizione di disabilità. Ho realizzato che non venivo guardata e corteggiata come le mie compagne di classe. Io ho pure un problema nel problema: non ho l’iride e ho l’occhio completamente bianco. La mia cecità quindi è un mio biglietto da visita per chi m i guarda.
Immagino sia stata dura per un’adolescente…Tenevo, ancora più di adesso all’estetica e ad abbinare accuratamente vestiti, scarpe e borse. Ho vissuto un periodo di non accettazione della mia disabilità. Usavo occhiali scuri e lentine colorate che mi aiutavano a nascondere, non la mia disabilità, ma il fatto che questa fosse visibile alle persone vedenti. Mi chiedevo perchè una quattordicenne con la minigonna e i tacchi dovesse camminare con il bastone. Mi faceva soffrire di più il fatto che i miei occhi fossero senza colore del fatto che fossero spenti. Crescendo ho superato tutto questo e devo ringraziare Yuri, la persona che poi è diventata mio marito. Tornando alla pena: te ne accorgi, te ne accorgi dai discorsi, dalle mezze frasi che restano sospese a mezza gola o da quelle bisbigliate mentre tu ti allontani.
Ti sei mai chiesta il perchè di questa pena? Credo che la pena sia un sentimento dettato anche dall’ignoranza, intesa proprio come “ignorare”. Si ignora ciò che c’è nel mondo della disabilità. Io, molto spesso, vorrei prendere per mano le persone e accompagnarle nel mio mondo. Vorrei far fare loro una passeggiata, non con le mie scarpe ma accanto a me. Vorrei prenderle per mano per fare una passeggiata nella mia casa, nel mio mondo anche interiore. Vorrei far scorgere la luce che spero possa trasparire dai miei racconti, dalle mie giornate. La pena traspare perchè spesso veniamo etichettati come “poverini” ma i poverini sono altri.
A cosa associ la parola “poverini”? I poverini sono le persone che si sentono vuote, senza speranza, senza prospettive. Credo davvero che “i poverini” siano coloro che non riescono a cogliere la grandezza delle piccole cose. Io non posso ammirare un panorama ma ogni volta che faccio un percorso in montagna mi sento arricchita. Quando arrivo in vetta, nonostante non veda quello che vede chi mi sta accanto, colgo tutto quello che mi possono trasmettere gli altri sensi: il fruscio, l’aria, i colori che mi entrano dentro nonostante non ne veda più nemmeno uno dal 2011. (NdR Rosy per un certo periodo ha visto i colori)
Ti è capitato di non scorgere questi colori dentro di te? La prima volta in cui mi sono sentita disabile è stato quando è morto Kevin, mio figlio, il mio bimbo grazioso. Mi sono sentita spenta, con una vita priva di significato. Non avrei mai pensato che sarei riuscita a scorgere nuovamente i colori. Sono diversa da prima ma sono di nuovo qui con la missione di far scorgere la luce pur stando al buio. Non è una frase fatta! Io sento un’energia vitale e provo a trasformarla in parole, emozioni, sorrisi e lacrime.Sono grata di riuscire ad esternare qualsiasi mia emozione senza vergogna e timore ma con orgoglio.
Famiglie e disabilità
Torniamo ai tuoi scritti. Recentemente hai definito faticoso il ruolo dei fratelli e delle sorelle delle persone con disabilità…Sicuramente è un ruolo faticoso. Quando arriva la disabilità in una famiglia, la vita di quella famiglia cambia, in certi casi viene stravolta. Non sta a me dire se in meglio o in peggio ma sicuramente la vita di quella famiglia cambia: cambiano le abitudini, le priorità e anche le attenzioni dei genitori. Talvolta i figli, nati prima o dopo la persona disabile, sono “obbligati” a crescere in fretta. Pensa a quando un bimbo disabile ha bisogno di cure specifiche in città lontane e i fratelli vivono, per alcuni periodi, con i nonni o gli zii. Il ruolo dei fratelli è faticoso ma a volte si instaura un rapporto più intenso.
La disabilità unisce le famiglie? La disabilità, in qualsiasi momento e modo entri in famiglia, deve essere metabolizzata e elaborata. Occorre adattare la famiglia a misura di disabile. Tutto ciò può far accadere due cose: ci si lega più intensamente oppure ci si allontana. La disabilità non sempre unisce. Ci sono circostanze, come nel mio caso, in cui la disabilità allontana. Ho conosciuto fratelli e sorelle con legami meravigliosi.
Tecnologie e ingegno
Come abbiamo detto all’inizio, tu racconti attraverso i social media. Che ruolo hanno le tecnologie nella tua vita? Ho quarant’anni ma sono una cieca vecchio stampo a cui piace ancora leggere in braille anche se i libri in braille sono grossi il doppio di quelli normali e esistono molte tecnologie che agevolano la lettura. Mi piace leggere in cartaceo ma ho anche degli ausili che mi agevolano nella quotidianità. Ad esempio ho un normalissimo iPhone che mi permette di visualizzare vocalmente quello che compare sul display. Tramite Siri posso usare le app, consultare Facebook, YouTube, la posta elettronica. Posso scrivere dettando vocalmente ma anche con la tastiera del computer perchè avendo studiato dattilografia la conosco a memoria. Ho imparato con una macchina Olivetti 29 anni fa. Un altro strumento molto utile è la barra Braille, un computer che mi permette di trasformare qualsiasi testo in Braille in pochi secondi. Altri ausili mi aiutano nella vita domestica: molti usano il canale vocale come il misuratore per la pressione e le bilance per pesare alimenti e persone. Ho un riconoscitore di colori che mi aiuta a caricare la lavatrice e una app per gestire l’asciugatrice. Insomma, mi sto adattando ad utilizzare le tecnologie anche se non mi considero molto tecnologica.
Qual è il tuo ausilio più importante? Devo essere sincera: il mio ausilio più importante e prezioso sono le mie mani. Come dico sempre: io vedo il mondo con le mani. Ovviamente, come tutti i disabili che possono farlo, mi ingegno per trovare strategie per adattare altri elettrodomestici alle mie esigenze. Alcuni elettrodomestici sono dotati di dispositivi che facilitano l’autonomia ma c’è moltissima strada da fare. Ad esempio, mi sono ingegnata per poter utilizzare la friggitrice ad aria. Insieme ad un’ amica vedente ho studiato il pannello digitale e messo dei brillantini adesivi, così contandoli posso usare la mia friggitrice che ora è anche molto fashion. Io continuerò ad ingegnarmi ma spero che le tecnologie diventino sempre più inclusive perché aiutano.
Punti di vista
In uno dei tuoi ultimi post hai invitato a considerare sempre il punto di vista delle persone disabili. Normalmente viene trascurato? Si! Si, viene trascurato. Essere disabili richiede tanta tenacia. Inutile nascondersi dietro un dito: le battaglie sono quotidiane e si deve lottare per far valere i propri diritti. Si tende spesso a minimizzare, ignorare, trascurare i bisogni espressi dalle persone disabili e dalle loro famiglie. Il punto di vista del disabile tende a contare poco. Occorre essere combattivi e affrontare le battaglie con coraggio e determinazione. Io sono contenta di essere combattiva ma non nascondo che ci sono dei momenti di stanchezza in cui bisogna prendere fiato e ripartire. Le arrabbiature non mancano ma le vittorie danno la forza di mettere un passo dopo l’altro anche davanti ai no. Tornando alla domanda: il punto di vista del disabile non dovrebbe mai essere trascurato. Il disabile sa, già da bambino, quello di cui ha bisogno. Il suo punto di vista andrebbe valorizzato e rispettato.
Hai scritto che potresti trascorrere delle ore a raccontare le potenzialità delle persone disabili. Lo faresti davvero? Certo che lo farei. Lo farei perché le potenzialità dei disabili meritano di essere conosciute. Conoscerle arricchisce e aiuta a riflettere. Lo farei, non con le parole, ma attraverso la pratica. Testimonierei potenzialità e limiti. Il nostro non è un mondo infiocchettato. Ognuno può e sa fare delle cose ma ci sono dei limiti di cui siamo consapevoli. Credo ci sia bisogno che sempre più disabili mettano a disposizione il proprio mondo affinché venga visto in una prospettiva diversa.
Sono rimasta molto colpita dalla tua espressione “diritto-dovere di trasformare le avversità in opportunità. Cosa significa? Quando ero piccola e nella mia adolescenza percepivo la mia disabilità come un nemico e questo mi limitava più dei miei veri limiti. Sebbene facessi tante cose, dentro di me c’era una sorta di guerra interiore, di non accettazione del mio problema. Quando ho iniziato a connettermi davvero con me stessa mi sono accorta che con le mie risorse avrei potuto trasformare questa percezione di ostilità in qualcosa che mi avrebbe potuto aprire altre possibilità e prospettive. Piano piano, un passo e una caduta alla volta, una conquista alla volta, ho imparato a conoscere e considerare amica la mia disabilità: una compagna di vita con cui vivere, non sopravvivere. Ho imparato a trasformare la minorazione visiva, concentrandomi non su quello che non avevo ma su quello che potevo fare e insegnare. Essere ciechi non è un boccone da ghiotti però la vera disabilità è essere ciechi dentro, come sono stata dopo la morte del mio bimbo. Oggi mi sento serena e riesco a scorgere l’alba. Il mondo di un disabile non è un mondo buio. Come nella vita di tutti ci sono momenti bui ma il mio è un mondo denso di colori che non sono il rosso, il giallo e il fucsia ma i colori con cui attraverso le scelte coloro la mia vita.
Cosa pensa oggi Rosy della sua cecità? Sono convinta che la cecità avrebbe potuto mettere tende da qualche altra parte. Non credo che la mia disabilità sia un dono. Ogni giorno provo a far prevalere le risorse sui limiti e penso che la mia cecità sia diventata un’amica. La indosso come un vestito comodo. La mia cecità mi permette di connettermi con la parte più profonda di me stessa. Non so come sarei se ci vedessi. La mia cecità mi limita in determinate circostanze e azioni ma nel contempo è una condizione anche arricchente perchè mi metto in gioco ogni giorno e affronto le sfide quotidiane con la voglia di imparare cose nuove e provare a diffondere la conoscenza del mio mondo che è un mondo dinamico dove ci sono più albe che tramonti. Preferisco immaginare la mia cecità come un’aurora e non come un crepuscolo. Vivo la mia cecità con molta consapevolezza, sento di aver trovato un equilibrio e mi ringrazio per tutto quello di buono che provo a fare. Vivo fisicamente al buio ma mi sento più vicina ad un giorno di sole che ad una notte senza luna.
Diversità e educazione
Cos’è per te la diversità? La diversità è ricchezza. La diversità è meravigliosa perchè ci insegna tantissimo in più di tanti libri. Sperimentare la diversità è un dono e non credo la si colga solo nella disabilità. La diversità si può cogliere in ognuno di noi, basta avere i sensi in ascolto, la mente aperta, il cuore spalancato: è il gioco è fatto!
Credi che serva un’educazione alla diversità? Credo che prima di tutto ci sia bisogno di educazione. L’educazione è fondamentale! Non nasciamo educati alla diversità. La nostra è una cultura basata su canoni standard dove tutto quello che non risponde allo standard fa paura e mette in imbarazzo. Io ho sperimentato l’imbarazzo, soprattutto nella mia infanzia e adolescenza, ad esempio quando cercavo di conoscere le cose attraverso le mani e questo non era ben accetto. C’è bisogno di educare, purtroppo.
Purtroppo? Si, dico purtroppo perché mi rammarica che non ci sia la cultura della diversità. Questo, però, può diventare un compito per ciascuno di noi. Se ognuno nel proprio piccolo facesse qualcosa funzionerebbe tutto meglio perché la diversità arricchisce e se si conoscessero le sfumature della diversità di ciascuno saremmo più informati e consapevoli.
Un obiettivo ambizioso.Quale ruolo ti assegni ? Mi piace definirmi “dispensatrice di parole”. Spero che attraverso le mie parole arrivi la mia energia e la mia luce. Non credo sia una luce abbagliante ma spero sia avvolgente, come quegli abbracci che rassicurano e rasserenano.
Che società vorresti contribuire a creare? Con i miei racconti e le mie esperienze mi piacerebbe dare un minuscolo contributo per provare a costruire una società che davvero miri lo sguardo al futuro, facendo tesoro delle mancanze del passato e tenendo conto dei bisogni del presente.
Prima di salutarti, devo confessarti che, nel preparare questo dialogo, mi sono sentita a disagio ogni volta che non ho trovato un’espressione adatta a sostituirne una inerente il campo semantico della vista…Mi viene da sorridere perchè è un disagio che manifestano un po’ tutti quando si relazionano con un cieco. Non è il caso di sentirsi in difficoltà, io e molti altri ciechi usiamo parole come “vedere” e “guardare”. Per noi non si tratta di parole bandite dal vocabolario. Fanno parte del nostro lessico quotidiano. Non si deve evitare l’uso dei termini. Io dico “vedo un film”: non lo vedo in modo “convenzionale” ma lo guardo con gli altri sensi. Vedere e guardare non sempre vanno di pari passo. Io mi sento fortunata perchè ho il privilegio di “guardare” anche se non ci vedo
ciao Francesca
grazie per l’intervista a Rosy sulla cecità e sul suo modo meraviglios di conviverci.E’ di esempio, é un’insegnante di vita. Grazie per la testimonianza attraverso l’intervista. ciao e buon fine – settimana Mariadoria Caramia
Grazie a te!
Eccome che arriva la sua energia e la sua luce dalle sue parole, tanto di cappello! Grande dignità, grande coraggio, grande consapevolezza, grandi insegnamenti.
Bella intervista stremamma! Ottima idea quella di divulgare
Non dev’essere facile, anche se nelle peggiori situazioni riusciamo sempre a tirare fuori il meglio di noi!
Sono contenta che Rosy, nonostante le difficoltà, ha la voglia e la forza di raccontarsi e raccontare il mondo della cecità: non sempre ci rendiamo conto di quello che ci succede intorno. Mi sono un pò avvicinata all’argomento quando ho visitato il Museo Tattile Omero di Ancona: un museo creato da una coppia di non vedenti per i non vedenti ma aperto a tutti quanti. Per me è stata una bellissima esperienza che consiglio di fare.
grazie per il commento e soprattutto grazie per il suggerimento!