Covid 19, noi genitori e la scuola (cronaca semiseria)
“Le maestre chiedono come va con i compiti” scrive la rappresentante con un messaggio sulla chat di classe.
“Bello – penso – vogliono avere un nostro feedback”. Intanto, iniziano ad arrivare le risposte. “Bene”. “Andiamo un po’ a rilento”. “Facciamo fatica” “Abbastanza bene”. Insomma, la situazione appare diversificata ma sotto controllo. Qualcuno si lamenta della difficoltà a coniugare compiti dei figli e lavoro, smart o no che sia. Qualcuno ironizza sulla divisione in sillabe. Qualcuno, comprensibilmente, sclera.
Nel bip-bip incessante delle notifiche, non manca chi ne approfitta per dispensare a tutti una lezione di pedagogia e didattica. Probabilmente nella vita fa tutt’altro, ma vabbè: pure io mi diletto con questi argomenti. Poi, all’improvviso, viene dispensata la verità inconfutabile sul danno di qualsivoglia mezzo digitale, in qualsiasi forma e misura, sulle giovani menti.
Un povero e ignaro dissidente s’azzarda a dire “io non ho la stampante e non so più dove stampare le schede da completare”. Per tutta risposta arriva lo spiegone sull’importanza della scrittura a mano e sulla connessione mano-cervello. Quell’altro, però, mica l’aveva messa in dubbio. Si era limitato a dire che non sapeva più come stampare. Una constatazione puramente logistica al pari di quelle di chi fatica a gestire più figli con un solo computer.
La discussione continua. E impazza. Qualcuno ammette che gli strumenti digitali (leggasi attività con numeri e lettere da svolgere su tablet, smartphone o pc) gli servono come esca per poi dirottare il suo primino su quelli cartacei. Qualcun altro- all’opposto- considera i “compiti digitali” troppo coinvolgenti per poi tornare a quelli cartacei.
“Chentu concasa chentu berritasa” penso, rubando una massima al nonno. Intanto, sui due malcapitati e sui loro fronti opposti, piove una reprimenda sulle responsabilità educative.
Mi vien da dire che, probabilmente, le insegnanti hanno fatto ricorso a un mix di strumenti per tentare di coinvolgere tutti, in una situazione nuova, inattesa e incerta. Mi limito a “lascerei agli insegnanti la scelta degli strumenti didattici”. La filippica sulle responsabilità educative si abbatte anche su di me. Mestamente mi ritiro.
Ma mi resta un senso d’amaro.
Ognuno di noi è – chi più, chi meno – preoccupato per le conseguenze di questa lunga lontananza dai banchi. “Resteranno indietro?” “Riusciranno a recuperare?”.
Qualcuno ha strumenti e tempo per seguire i bambini. Qualcuno ha l’uno ma non l’altro.
Ognuno di noi, per quanto attento ai bisogni del proprio figlio, non avrà mai la visione d’insieme che gli insegnanti hanno della classe.
Onestamente, credo che i più stiano cercando di fare il possibile per “fare scuola” e preservare “competenze” e “relazioni”. E magari, al contempo, stanno riflettendo su questa esperienza.
E allora, forse, dovremmo non smettere di collaborare con loro, ma piantarla di pretendere di insegnargli il mestiere. Un mestiere in cui teoria e esperienza si intrecciano senza sosta. E in cui, come in molti altri, ricette assolute non ce n’è.