Distanziamento, guardie imperiali e pensieri sparsi sul ritorno a scuola dei più piccoli.
In questi giorni, ho visto e rivisto il video dei bambini cinesi che tornano a scuola. Probabilmente lo avrete visto anche voi, visto il successo che sta riscuotendo sui social. Devo però farvi una piccola confidenza: nel vedere la prima volta quei bambini di 4-5 anni muoversi perfettamente allineati sotto le loro visiere anti-contagio mi sono venute in mente le guardie imperiali di Star Wars. In fin dei conti cosa potrebbe esserci di più sicuro, asettico e anticontagio di uno scafandro plasticoso e auto-dotato di mascherina? Ho pure pensato che la spada laser potrebbe fungere da distanziatore.
La seconda volta che l’ho visto, invece, i pensieri sono stati un po’ più cupi. Nel osservare i bambini seduti e perfettamente distanziati ho pensato che una soluzione così da noi la si potrebbe ottenere solo affidandone la gestione a un team formato da Suor Gray, Miss Munchin e Dolores Umbridge. Si, rispettivamente la suora cattiva di Candy Candy, la direttrice senza cuore di Lovely Sara e la signora in rosa che impone la disciplina col pugno di ferro ad Howgarts. E questo non perchè ritenga i nostri bambini indisciplinati e privi della capacità di rispettare le regole, ma semplicemente, perchè, fortunatamente a mio avviso, abbiamo un’idea dell’infanzia e della scuola dell’infanzia che non contempla soltanto lo stare seduti nel rispetto diligente del distanziamento fisico.
Il problema, sia chiaro, non è la visiera in sè. E neppure il fatto che quei bambini stessero seduti in modo impeccabile. Il fatto è che la sola cosa che abbiamo visto sono stati dei bambini in fila davanti al distributore del gel disinfettante eppoi seduti a debita distanza l’uno dall’altro. Bambini in fila e bambini seduti. Null’altro.
Se ripenso alla scuola dell’infanzia del trio (e pure ai primi anni di elementari) mi vengono in mente tante cose: momenti collettivi, attività in piccolo gruppo, gioco libero, attività strutturate. Devo ammettere, che mi ha stupito l’entusiasmo riscosso dal video e pure gli sconsolati “da noi sarebbe impossibile”. Devo ammettere, che ho accolto con un gigantesco sospiro di sollievo il fatto che nessuno stia pensando di applicare da noi soluzioni di quel tipo, per quanto semplici possano sembrarci. Sono soluzioni che farebbero a pugni con la nostra cultura dell’infanzia e con la cultura pedagogica che dovrebbe caratterizzare le nostre scuole.
A quanto ne sappiamo, da noi si sta puntando a riaprire scuole d’infanzia e nidi privilegiando la dimensione del piccolo gruppo. Una soluzione che, per quanto non priva di incognite, appare, almeno a noi profani, praticabile e auspicabile.
Eppure dovremmo fermarci ad ascoltare i dubbi, delle educatrici e dei professionisti del settore. Ammesso e non concesso che vengano trovate le risorse economiche per una ripresa a piccoli gruppi, quella in cui i bambini si ritroverebbero sarebbe una realtà molto diversa da quella che hanno lasciato. Potrà essere una realtà educativa o avrà soltanto una dimensione di custodia? E, inoltre, vista l’incertezza delle conoscenze relative al virus, soluzioni di questo tipo potranno permettere alle insegnanti e alle educatrici di lavorare serenamente? Un punto interrogativo che diviene ancora più grande se pensiamo al nido dove abbracciare, consolare, coccolare sono gesti quotidiani e dove la questione “sicurezza” non può essere risolta semplicemente a suon di mascherine. Una realtà – per fare un esempio banale – dove dire “i genitori devono stare fuori dalla struttura” mal si accompagna al bisogno di ambientamento che i bambini probabilmente manifesteranno dopo mesi trascorsi a casa.
“A chi lasceremo i bambini?” si chiedono in tanti (o forse sarebbe, meno politicamente corretto ma ancora oggi più realistico dire in tante). Il problema esiste e negarlo vorrebbe dire semplicemente spalancare le porte a una società e a un modello famigliare che proprio nidi e scuole d’infanzia hanno contribuito a superare. Eppure non possiamo dimenticare che anche chi lavora in quelle strutture ha una famiglia da proteggere e una formazione che non permette di chiudere gli occhi davanti a soluzioni che potrebbero non essere “a misura di bambino”.
L’incertezza che ognuno di noi sperimenta circa il futuro, l’organizzazione familiare, il benessere dei nostri figli, probabilmente ha una dimensione collettiva. Tante cose sono incerte, a partire dall’andamento futuro dell’epidemia. Personalmente ho una percezione del rischio piuttosto bassa e sono convinta che si debba andare verso una definzione di sicurezza che non sia “la scomparsa del virus” ma la possibilità di gestirlo, contenendo ulteriori contagi attraverso dpi, tamponi e via dicendo. Eppure mi chiedo, se questa “visione” possa essere quella giusta visto che in ballo c’è la salute e la vita di ognuno.
Insomma, so quel che vorrei ma mi chiedo se sia realizzabile nel clima di incertezza in cui, nostro malgrado, siamo stati catapultati.